Tutta
l'Opera di Giacomo Leopardi porta il segno dei due più sconvolgenti libri della
Bibbia: Giobbe e Qohélet. In questi due personaggi, da lui stesso considerati
quasi i precursori del suo "sistema" filosofico, il poeta-filosofo di
Recanati, poteva specchiarsi e ritrovare intatta la propria immagine. Giobbe e
Qohélet, il volto della sofferenza innocente dell'uomo e il cantore
dell'assoluta vanità delle cose terrene, affiorano di continuo, mostrando il
loro volto, nelle pagine leopardiane.
Dopo
Giobbe e Leopardi. La notte oscura dell'anima (2005), l'autrice si inoltra
all'interno della complessità di un rapporto riconosciuto sia dalla critica
leopardiana, sia dagli esegeti e commentatori della Bibbia. Un rapporto
profondo e continuo che lega il sapiente, lucido e desolato Qohélet del
"vanità delle vanità, tutto è vanità", al poeta moderno che grida nel
silenzio "Oh infinita vanità del vero!". Il primo, dopo essere
passato attraverso tutti i possibili piaceri, non si lamenta come Giobbe ma si raccoglie
in una sovrana distanza nel più totale disincanto constatando che tutto è vuoto
e inseguire il vento. Nel secondo il desiderio di felicità rimarrà a livello di
sogno e d'immaginazione ma l'approdo sarà il medesimo: tutto è vanità.
Presentazione
del 24 maggio 2007 Pontificia Università Gregoriana – Roma
Presentazione
del 1 dicembre 2007, Napoli.
"Sono
molto lieto per il fatto che Loretta Marcon. studiosa che stimo
particolarmente, compie il dittico leopardiano, lei che l'ha iniziato: dopo
Giobbe e Leopardi, Qohélet e Leopardi (Guida, Napoli) in un confronto
necessario in se stesso e con il precedente. E' ineliminabile in una seria
critica leopardiana il riconoscimento della presenza, profonda e pervasiva, e
dunque della centralità, in una lettura seria di Leopardi, dell'asse
biblico-filosofico su cui si allineano pessimismo-rivolta e nichilismo, Giobbe
e Qohélet, appunto. Questo asse di ispirazione e riflessione incrocia l'altro,
di Dio stesso, come tale (il Dio biblico-cristiano) nel poeta di Recanati; al
quale ho dedicato anni fa un mio specifico saggio in colpevole assenza di
questa tematica nella critica leopardiana, che ora per parte sua la Marcon
contribuisce ad aggiornare e completare preziosamente. [...] Su questo preciso
e vastissimo sfondo [...] bisogna pensare il rapporto di Leopardi - lungo,
consapevole, voluto - con il sapiente desolato Qohélet, suo simile anche se
tanto diverso, come bene lo illumina Loretta Marcon nel suo saggio,
confrontando il deluso negatore
ecclesiaste e l'ardente disperato poeta moderno che "odia la vita e
te la fa amare" (F. De Sanctis). E la precisa, particolareggiata disamina
che la studiosa conduce del loro rapporto, corredata dell'essenziale pertinente
bibliografia e perfino della conoscenza della biblioteca di Casa Leopardi, con
la padronanza sicura e totale dei testi, risulta per più versi e
progressivamente rivelatrice: lo hebel qoeletiano e "l'infinita vanità del
tutto" qoeletiano-leopardiana si assimilano e si dissimilano con una
ricchezza di motivi dalla quale il lettore resterà preso e affascinato".
(G. Casoli, Città Nuova, n. 13, 10 luglio 2007)
"E'
noto l'interesse del Leopardi adolescente per la Bibbia, non solo come mezzo
per apprendere il greco e l'ebraico [...] ma anche per i suoi contenuti, specie
sapienziali [...]. Pochi studiosi però hanno approfondito questo aspetto, e
tanto meno il rapporto con due libri particolarmente consonanti col suo
pensiero, e cioè Giobbe e Qohélet o
Ecclesiaste, che al tempo del Leopardi si credeva scritto da Salomone [...]. Al
rapporto col libro di Giobbe era dedicato il precedente saggio della Marcon,
apparso nella stessa collana un paio d'anni fa (Giobbe e Leopardi. La notte
oscura dell'anima, Guida, Napoli 2005, pp.130), in cui la studiosa padovana
ripercorre il testo biblico raffrontandolo con concetti e immagini
riscontrabili nel Leopardi per sottolineare consonanze e atteggiamenti di
pensiero che vanno al di là del generico e superficiale accostamento per la
comune esperienza di dolore [...]. Nel presente lavoro al tema del dolore e
della "notte oscura" succede quello della vanitas vanitatum [...]. Lo
scavo scrupoloso e appassionato della Marcon si sofferma ad illustrare contatti
e convergenze sui grandi temi dell'esistere: l'impossibilità di dare un senso
alla vita, il monotono trascorrere dei giorni con la stessa ciclicità della
natura, l'inutilità del sapere e lo scacco della ragione che spazza le
illusioni e produce dolore, il lavoro sentito come fatica e condanna, l'uguale
sorte che attende uomini e animali, la non prevedibilità di un destino finale,
la fugacità delle gioie e l'incombere su tutti della vecchiaia e della morte.
Temi universali, che percorrono la storia del pensiero, ma che acquistano nel
Leopardi una tale risonanza che è difficile non riconoscervi l'influsso
dell'antico testo attribuito a Salomone. [...] La crisi dell'esistenza e della
sapienza, costante, lucida, radicale, tocca in Qohélet il suo vertice,
diventando un emblema della condizione umana. Che ricorra in un libro sacro sta
però a dimostrare tuttavia la presenza della matrice religiosa. Concordiamo con
la Marcon e con gli autori che lei cita (Barsotti e Ravasi), e con le
conclusioni di Giovanni Casoli, che ha steso la presentazione del volume, nel
ritenere che un tale afflato sia rintracciabile anche nel Leopardi: se a prima
vista può sembrare paradossale, l'autore biblico e il poeta moderno tentano
entrambi l'ardito rapporto con l'Assoluto, pur avvertendone la distanza. [...]
Felice l'epigrafe montaliana che la Marcon ha posto in limine al suo lavoro: i
versi di Forse un mattino andando ben sottolineano l'attualità e l'universalità
del pensiero di Leopardi".
(G. Ronconi, "Padova e il suo
territorio", n.130, dicembre 2007)
Dopo
Giobbe e Leopardi (la notte oscura dell'anima), Loretta Marcon con Qohélet e
Leopardi ( l'infinita vanità del tutto), compie il dittico completando un
confronto necessario e a tutti gli effetti “imperativo” dal momento che si
profila ineliminabile, in una seria critica leopardiana, il riconoscimento
della presenza profonda e pervasiva dell'asse biblico-filosofico su cui
scorrono, allineandosi, pessimismo-rivolta e nichilismo, Giobbe e Qohélet
appunto.
Questo
asse incrocia e in-contra l'altro, non meno importante, di Dio stesso (il Dio
biblico-cristiano) nel poeta di Recanati.
In
questa prospettiva le pagine di Loretta Marcon “vivificano” il messaggio del
Poeta troppe volte laicizzato ad oltranza ed essendo vissuto molto più vicino e
dolorosamente al cristianesimo del quale aveva perduto la fede teologale,
rispetto a tanti credenti della domenica o miscredenti superficiali e sommari.
Il
grido di Leopardi :” Oh infinita vanità del vero!” diventa testimonianza
autentica del rapporto viscerale e continuo con il sapiente biblico che
sancisce “Vanità delle vanità, tutto è vanità!”
Il
testo di Loretta Marcon si rivela un autentico spiraglio su una verità troppo
spesso diementicata dalla critica ufficiale che tende, inesorabile, a “vestire”
un Leopardi materialista, decisamente trascurando l'ispirazione biblica della
poesia leopardiana.
Al
termine del “percorso” la presenza di Qohélet nei testi leopardiani esce
rafforzata così come è innegabile l'accompagnarsi di Giacomo, fin dagli albori
dei suoi studi, all'antico sapiente nel quale si sarebbe poi identificato.
Più
in generale, l'auspicio dell'autrice quello di proseguire nella ricerca intorno
ai temi biblici che permeano il Poeta nella “carne”, attraverso un attento
esame alle pagine ingiallite dei tanti tomi polverosi ben allineati nella
Biblioteca di casa Leopardi che, muti e al buio da molto tempo e, forse anche
per ragioni di comodo, vorrebbero, invece, parlare ai “cercatori” di verità.
(Cristina Raddavero,
http://dictamundi.net)
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