Gli
eventi della conversione, della morte e della sepoltura di Giacomo
Leopardi sono da sempre avvolti in una cappa oscura. Nel corso del
tempo sono state avanzate tesi diverse, peraltro non sempre suffragate
da documenti inoppugnabili e spesso viziate da visioni ideologiche.
L’autrice non ha dato nulla per scontato e ha puntigliosamente
ripercorso testi e versioni alla ricerca delle primitive fonti degli
episodi raccontati e ripetuti negli anni. Anche i racconti degli
avvenimenti forniti via via da Antonio Ranieri sono messi a confronto
tra di loro, così che il lettore possa rilevare istantaneamente la loro
diversità. Tutto questo ha condotto a formulare un’ipotesi finora
impensata. Sono state poi ritrovate pagine non più ricordate e altre
inedite e si è dato finalmente nome ai personaggi rimasti fino ad oggi
anonimi.
Questa cronaca storica si sviluppa come un appassionante giallo che solleverà non pochi interrogativi anche in coloro che continuano a difendere la consueta tesi dell’ateismo di Leopardi e della sepoltura “privilegiata” nella chiesa di S. Vitale a Fuorigrotta. 25.6.2012 presentazione a Recanati, Villa Colloredo Mels. 28.10.2012 Presentazione a Torre del Greco (NA), Villa delle Ginestre La morte di
Leopardi sembra Rashomon. La studiosa veneta Loretta Marcon
cerca la soluzione tra verità parziali e menzogne. Non
hanno mai fine le ricerche e ipotesi sulla morte di Leopardi a Napoli per le
notizie contradditorie diffuse già dal suo amico Ranieri, testimone e regista
di quegli eventi in epoca di colera, e per la sconcertante scoperta, fatta nel
luglio 1900, che la piccola bara custodita nella chiesa di S. Vitale a
Fuorigrotta non conteneva quasi o forse
nulla del poeta. I pochi frammenti furono raccolti in un'urna assegnata al
Museo S. Martino dove, per un ulteriore sortilegio, essa è scomparsa. Minime
altre "reliquie" si tenne il direttore scientifico della
ricognizione, acquistate poi da Beniamino Gigli per lasciarle in eredità al suo
comune nativo di Recanati. Ma il culto di Leopardi sviluppato nel '900 manca di
certezze sulla sua tomba, trasferita nel 1939 al Parco Vergiliano di Napoli nei
pressi di quell'altra leggendaria di Virgilio. Del resto il libro dei defunti
della parrocchia in cui per legge fu registrato il suo decesso attesta una
sepoltura nelle fosse comuni dei colerosi. Su tale mistero forse insolubile e
sulla presunta "conversione" finale, poi divulgata dai gesuiti a fini
predicatori, ha indagato una studiosa veneta, Loretta Marcon, in un riesame dei
dati disponibili e con nuove acquisizioni (Un giallo a Napoli. La seconda morte
di Giacomo Leopardi, Guida, Euro 15). Il suo volume documenta un intreccio di
verità parziali o menzogne, che a tratti sembrano una recita alla
"Rashomon". Ogni attore di questa trama, Ranieri per primo, ha
infatti un proprio interesse in gioco. Misconosciuto in vita, Leopardi lascia
false tracce. (Rolando Damiani, "Il Gazzettino", 22 giugno 2012)
Poeta genio. Il giallo della morte di Giacomo Leopardi
Quando
ci si accosta a un uomo veramente grande, pur sapendo che siamo tutti piccoli,
e uguali in umanità, si deve sempre avere presente la differenza di statura con
lui, per non distorcere o sbagliare le valutazioni e i giudizi che lo
riguardano. Giacomo Leopardi, in vita e in morte, ha così messo fuori gioco la
sicumera della maggioranza che lo studiava e lo studia secondo la propria
prospettiva culturale e ideologica. Perché studiare Leopardi "in"
Leopardi non è facile, o... (Giovanni Casoli, "Città Nuova", n. 15/16, 2012)
Leopardi,
strane ipotesi su morte e sepoltura
La storia ufficiale ci dice che Giacomo Leopardi è stato sepolto a Napoli, prima nella chiesa di San Vitale, poi al parco Vergiliano a Piedigrotta. Ma in realtà, quando nel 1900 fu fatta la ricognizione dei resti mortali del grande poeta di Recanati, ci si accorse che quei pochi frammenti di ossa non potevano essere appartenuti a lui. Il femore, in particolare, era troppo lungo, mentre il teschio mancava del tutto. Molto all'italiana, si preferì però far finta di niente, per evitare seccature. Così quel Leopardi presunto continuò a essere considerato ufficialmente tale, malgrado i dubbi, e finì nel 1939 nel monumento funebre che gli fu eretto a Piedigrotta, L'autrice di questo libro ha già dedicato tre volumi a Leopardi, messo a raffronto, rispettivamente, con il libro biblico del Qohélet, con il mondo dei blogger di oggi e con Kant. Stavolta, Loretta Marcon ha voluto affrontare in questo suo quarto studio leopardiano un mistero che non ha più a che fare col pensiero del poeta e con la sua interpretazione, ma con la sua esistenza materiale. Meglio ancora, con le circostanze, tuttora dubbie, della sua fine. Ripercorre così con puntiglio testi e versioni alla ricerca delle primitive fonti degli episodi raccontati e ripetuti negli anni, soprattutto confrontando le contraddittorie versioni date da Antonio Ranieri, l'amico degli ultimi anni di vita del poeta, poi protagonista di una curiosa polemica postuma con il morto e testimone non troppo affidabile. Purtroppo, alcuni importanti archivi sono andati distrutti, ma la studiosa ritiene probabile l'ipotesi che Leopardi sia finito nella fossa comune dei morti di colera. Così richiedevano le disposizioni vigenti per combattere l'epidemia che all'epoca impazzava a Napoli, anche se, secondo il certificato ufficiale, la morte di Leopardi sarebbe avvenuta per idropericardite. (Il Foglio, 30.1.2013)
Per
Loretta Marcon morì di colera a Napoli, da cristiano e non da ateo radicale di Marco Testi (SIR) "Né la religione potrà dolersene, giacché
una pittura così vera e così spaventevole della vanità e delle sciagure degli
uomini, come quella che si trova nei versi e nelle prose del nostro scrittore,
è forse l'introduzione più eloquente e più acconcia che si possa premettere
allo studio del cristianesimo".Vincenzo Gioberti lo aveva capito
dall'inizio, sin da quando aveva iniziato la sua frequentazione con "il
conte" Giacomo Leopardi. Davanti a lui aveva un autentico spirito della
natura, una rara incarnazione delle profondità più radicali - e talvolta
spaventose - nascoste nel complesso universo umano. Il punto dolente che
potremmo trovare in ognuno di questi testimoni dello spirito dei tempi, in
Leopardi era la diretta dipendenza del pensiero dal proprio vissuto e dalle
proprie sventure. Esso si manifestava attraverso quel celebre - e talvolta
malinteso - pessimismo, così radicale da nascondere paradossalmente il suo
opposto. La vicinanza del pensiero leopardiano a Qohélet e a Giobbe, che viene
rilevata anche da Gioberti, è uno dei punti fermi della ricerca che da lungo
tempo la studiosa Loretta Marcon conduce sulla figura del poeta di Recanati.
Anche in questo recente "Un giallo a Napoli. La seconda morte di Giacomo
Leopardi" (Guida, 218 pagine), dedicato ai misteri della morte e della
sepoltura dell'autore dei Canti, emerge in ogni caso questo elemento basilare
per capire davvero il recanatese. Il lavoro della Marcon è davvero ben
documentato e preciso, e offre un nuovo orizzonte conoscitivo sulle ultime ore
di Leopardi, che molto probabilmente, a stare ai documenti presentati dalla
studiosa, fu sepolto in una fossa comune nel "camposanto dei
colerosi" a Napoli, e non nella chiesa di San Vitale, come si è portati
ancora a credere. Le ultime acquisizioni che la Marcon ci sottopone danno
questa quasi certezza, sollevando nel contempo anche il problema della vera
causa della morte del poeta, che potrebbe essere stata proprio il colera, e non
la "idropericardia" come da un discusso certificato stilato da un
medico. Al centro di tutto questo pasticcio viene posto Antonio Ranieri, vero e
proprio bersaglio polemico del libro, di cui viene sottolineata la doppiezza -
emersa già con la pubblicazione dei "Sette anni di sodalizio con Giacomo
Leopardi" in cui il poeta veniva messo in cattiva luce -, doppiezza che
avrebbe poi portato alla nebbia foltissima alzatasi sulla fine del recanatese e
sul mistero delle sue spoglie mortali. Ma, come si diceva, le notizie sulla
effettiva morte cristiana di Leopardi, se sono preziose per la verità storica,
non cambiano quello che aveva intuito Gioberti e che la Marcon sostiene da
tempo: che cioè gli abissi del pensiero leopardiano non sottintendono un
ateismo radicale. Lo stesso Ranieri, tanto bistrattato dalla Marcon e da molti
altri, aveva affermato che Leopardi "nacque e morì cristianissimo",
che "egli accusò spesso ne' suoi scritti la natura che lo aveva
maltrattato" ma che intanto egli aveva fatta sua la distinzione "tra
quel che si chiama natura e il principio reggitore o moderatore
dell'universo". La doppiezza dell'amico del poeta è stata quella di non
far conoscere questo e soprattutto di non far sapere della sua morte confortata
dai Sacramenti per non dispiacere agli ambienti anticlericali e sensisti del
tempo. Quelle parole però ci fanno riflettere sulle profondità dolenti e
inquiete del pensiero leopardiano: il cantore di Silvia non è stato il solo a
toccarle, e non è stato il solo ad avvicinarsi alle scaturigini religiose, a volte
mistiche, che si celano dietro quegli abissi: si pensi alla fede cristiana di
Federigo Tozzi ma anche all'atmosfera senza scampo, circonfusa di violenza
sorda e senza senso di alcuni suoi capolavori, come "Il podere" o
"Tre croci"; si rivada con la memoria alla società corrotta e
all'abiezione di alcuni personaggi di Dostoevskij, che certamente non era ateo
o sensista. Di scrittori che hanno rilevato il male presente nella vita ma che
nel contempo non lo hanno proclamato come unica realtà, è piena la storia della
letteratura, e Leopardi non fa eccezione. Anzi, la sua profonda riflessione
sulla vanità del tutto lo avvicina a quei Salmi e a quei lamenti su una vita
consegnata alla sofferenza e ad una volontà inesausta e mai appagata,
provenienti proprio dal Libro per eccellenza. Il dolore più radicale può
divenire riconoscimento della inevitabile fine delle forme e dei piaceri fini a
se stessi. Non della assenza di un Dio.La grande poesia non è mai confinata in
una angusta e unica scuola di pensiero, ma riesce a raggiungere tutti gli
spiriti alla ricerca di un senso, nessuno escluso.
2013). |